INCONTINENZA URINARIA: l’elefante nella stanza

11 Dicembre 2021 by Laura Nebel

Le cose che non conosciamo o che non comprendiamo ci fanno paura, e quindi siamo più propensi a minimizzarle e a nasconderle, piuttosto che affrontarle. Sono certa che alcune donne si sono dette, almeno una volta nella vita :“Mi sono accorta che quando tossisco o rido di gusto con qualche amica, mi capita di perdere qualche goccia di pipì… ma si, in fondo cosa sarà mai? Succede a molte mie amiche, non è davvero un problema. Mi metto un bell’assorbente e si torna alla routine!” oppure “Quando prendo in braccio il mio piccolo neonato, mi accorgo che perdo un pò di pipì…ma penso sia normale, d’altronde ho partorito solo poche settimane fa… e poi adesso ho altro a cui pensare, devo dedicare anima e corpo al mio piccolo miracolo! Meglio non farci caso ora…ci penserò quando avrò tempo”…

Già. L’elefante nella stanza. Ma cos’è davvero l’incontinenza? E perché è giusto, anzi doveroso verso noi stesse prendersi cura di questo disturbo , a cui diamo poco peso, ma che modifica in maniera importante la nostra routine quotidiana?

Facciamo chiarezza con qualche numero. L’incontinenza viene definita dall’ICS (International Continence Society ) nel 2002 nelle sue forme prevalenti: da sforzo, da urgenza, mista (presenti entrambe le forme precedenti) e da iperattività detrusoriale (legata ad un quadro patologico a carico del sistema nervoso centrale). Vediamole nel dettaglio:

Incontinenza urinaria da sforzo: perdita di urina in occasione di sforzo fisico, durante un colpo di tosse e/o lo starnuto.

Incontinenza urinaria da urgenza: perdita di urina accompagnata o immediatamente preceduta da  impellente bisogno a mingere; si può presentare sotto diverse forme, con piccole perdite o con svuotamenti vescicali completi.

Incontinenza urinaria mista: perdita di urina, accompagnata o immediatamente preceduta da impellente bisogno a mingere, in occasione di sforzo fisico, durante il colpo di tosse o lo starnuto.

Incontinenza da iperattività detrusoriale: episodio di incontinenza secondaria ad una contrazione involontaria del detrusore (vescica). 

In Italia il numero di persone stimate che soffrono di incontinenza sono 5 milioni su circa 60 milioni di abitanti1. Significa che circa l’8% della popolazione è interessata dal disturbo incontinenza, in maniera più o meno marcata. Le forme sicuramente più comuni sono le prime tre forme. Nella donna in particolare, viene descritta una prevalenza della forma da sforzo del 50%, mentre per la forma da urgenza si attesta intorno al 10-15% e per quella mista intorno al 35-40%2. 

Questi dati parlano da soli. Anzi parlano al posto di tutte quelle persone che ancora oggi si vergognano di questo disturbo o non hanno gli strumenti adeguati a comprenderlo e affrontarlo. Riconoscere il fatto di essere incontinenti è il primo passo per potersi riappropriare della propria quotidianità. Qualche anno fa una nota marca di assorbenti proclamava nel suo spot: “ Nessuno ti fa sentire così libera. Ecco qui la tua nuova idea di libertà”.

.

Dopo la nascita del mio secondo figlio, mi sono trovata a fare i conti con queste fastidiose perdite. E dover indossare un assorbente ogni volta che uscivo di casa non corrispondeva esattamente alla mia idea di libertà. Mi sono messa in gioco facendo riabilitazione del pavimento pelvico e ho migliorato in breve tempo la mia condizione.  Ho compreso a quel punto che, studiando e dedicandomi a questo tipo di riabilitazione, avrei potuto aiutare con la fisioterapia molte donne a migliorare in maniera significativa la loro qualità di vita. E far decidere a loro se la vera libertà fosse dipendere da un dispositivo di assorbenza o dalla consapevolezza e padronanza del proprio corpo. 

Nella terza consultazione internazionale sull’incontinenza di Monaco del 20043, è stata proposta la modalità che deve essere utilizzata nel trattare l’incontinenza urinaria femminile; è molto interessante notare come il primo tipo di intervento fortemente consigliato sia l’approccio terapeutico definito “non specialistico”, cioè modificazioni dello stile di vita della persona, il trattamento fisioterapico del pavimento pelvico e il trattamento comportamentale (cioè sui comportamenti adottati). Ovviamente se vengono individuati in questa fase quadri clinici più complessi, il fisioterapista specializzato invierà la paziente ad effettuare esami clinici più approfonditi e visite mediche specialistiche. 

Questo livello di trattamento di tipo non specialistico andrebbe protratto per  8-12 settimane prima di una rivalutazione e di una eventuale ulteriore consulenza. La soluzione più percorribile secondo le linee guida è quindi quella più semplice: rivolgersi ad una fisioterapista specializzata. Attraverso un percorso dedicato, si comincia a aumentare la consapevolezza di questa zona del corpo (dove si trova, come si muove) e attraverso esercizi specifici si imparano strategie e modalità di contenimento e miglioramento dei disturbi presentati.

Come donna e mamma sono soddisfatta della condizione fisica che ho recuperato; come professionista  sono ormai da anni al servizio di tutte le donne (e non solo) che hanno deciso di guardare negli occhi il famoso elefante nella stanza. 

E RICORDA: IL DISTURBO CHE HAI NON DEFINISCE CHI SEI!

Laura Nebel

Bibliografia:

1-Libro bianco sull’incontinenza urinaria, FINCO.

2-Incontinenza urinaria femminile: manuale per la riabilitazione. Donatella Giraudo, Gianfranco Lamberti. Edi ermes

3- Abrams P, Cardozo L, Khoury S, Wein A, eds. Incontinence- management. 3rd International consultation on incontinence. Plymouth: health Publication Ltd; 2005 (vol.2): 1606-9. 

Ti potrebbe interessare anche

Se soffri di uno o più disturbi legati ad un pavimento pelvico troppo debole o troppo forte, oppure hai bisogno di avere le idee più chiare su ciò che puoi o non puoi fare per migliorare la tua condizione, scrivimi e prenota uno screening informativo!